Saint-Exupéry, il volo del tempo e della vita

Ottant'anni fa un caccia tedesco abbatteva il suo Lockheed al largo di Marsiglia. Il suo Piccolo Principe è il libro più amato di ogni tempo.

L’orologio del visconte Antoine Jean Baptiste Marie Roger de Saint-Exupéry, un  cronometro Angelus in oro, era più adatto al polso d’uno scrittore che non d’un pilota d’aereo. 
Scrivania o cloche, non ha segnato soltanto le ore e i minuti e i secondi: le sue lancette fosforescenti hanno scandito la coincidenza tra il tempo e la vita, il composto chimico di una formula alchemica senza scali, fino in fondo al cielo della passione. Così come si ascolta la musica e la si interpreta, così come si scrive e si legge una lettera d’amore, un romanzo, un endecasillabo, il silenzio. Così com’è l’attesa.

L’abuso di aggettivi è un’abitudine; ultimo, tra i tanti, alligna nei titoli di libri e film. Ma quando ci vuole, ben venga: Saint-Exupéry è l’ultimo romantico nel secolo della grande illusione.
Per me scrivere e volare sono una cosa sola.

Casa natale a Lione

Le biografie su Tonio -Lione, giugno 1900- si contano con i giri di elica dei suoi velivoli, redatte con varia fedeltà cronologica, sempre che sia questa la decodifica delle azioni e delle omissioni di un’esistenza oltre le nuvole, e, termine di attinenza assoluta, formidabile nel suo ansito, nel suo stupore, nella sua inquietudine. 
Se ognuno diventa il lavoro che fa, Saint-Exupéry è uno stato d’animo, una condizione mentale. È la via di fuga di Henry Laborit, è il tuffo di Dantès dal muraglione del castello di If, nascosto nel sacco preparato per l’abate Faria.
Diamo per lette, allora, le convergenze parallele (!) di antologia e cronaca, ottant’anni dopo la partita a scacchi tra fato e destino, vinta non dalla morte quanto dall’immortalità.

Il 31 luglio 1944, il capitano di complemento Saint-Exupéry delle Forces Aériennes Français Libres, decollava nel buio con un Lockheed P38 Lighting dalla base di Borgo, in Corsica, per una ricognizione fotografica su Lione, sua città natale.
Fu abbattuto nella notte da un aereo tedesco al largo di Marsiglia. Né la leggenda né il mistero né il Tirreno lo hanno restituito al tempo corrente.
Robert Heichele, pilota della Luftwaffe, morto due settimane dopo, disse c’est moi, smentito dai cronisti per il modello del suo aereo.
Sessantaquattro anni più tardi, l’asso Horst Rippert, ha avocato a sé l’abbattimento. L’aeroplano era quello giusto, un caccia Messerschmidt. Rippert avrebbe taciuto perché lettore di Saint-Exupéry, sconvolto dall’aver ucciso il suo autore preferito, per tutti indistinguibile dal protagonista di quei romanzi letti più volte.

I sub cacciatori di relitti e un pescatore avevano trovato i rottami del Lockheed e un braccialetto d’argento, inciso con le sue generalità, dono della moglie Consuelo. Hanno cercato i resti di Saint-Exupéry nel posto sbagliato: lui, in fondo al mare non è mai arrivato; in panne una volta di più, è atterrato fortunosamente sul pianeta bitorzoluto dei baobab, quello del Piccolo Principe che gli ha subito chiesto di disegnargli una pecora. 
Un bimbo biondo, la sua unica rosa, la volpe, il serpente, il dualismo del visibile e dell’invisibile, amore e amicizia, dolore e felicità. Un luogo che ha il nome più bello: lontano, dall’alto, al di là della forza di gravità.
Sin qui, gli accadimenti, gli ultimi che l’Angelus ha scandito nel tempo antagonista computato dagli uomini. Non ha mai smesso di funzionare nell’altro tempo, con il tic-tac della passione comunque, la prospettiva dalla quale e con la quale si guarda alla vita e a ciascuna delle sue incognite accettandone le alee.

Il terzogenito della famiglia Saint-Exupéry, soprannominato da bambino le Roi Soleil per i boccoli biondi, ancora non camminava e già era salito sul tappeto volante. Non ne è sceso neppure quando è entrato nella grotta di Sesamo.
Declinazioni: immaginifico, visionario, malinconico, euforico, poetico, autobiografico; dal deserto africano alle nevi delle Ande, dal primo testo andato in stampa, il corpulento nobiluomo della regione Rodano-Alpi  pubblica a 25 anni L’aviateur e  Vol de nuit nel 1931. Scrive buona parte di Terre des Hommes (1939)- Gran Prix du Roman dell’Académie Française- sul transatlantico Normandie in rotta da e per New York, invitato a restare in prima classe dal comandante fino alla conclusione del testo, suggeritogli nell’impostazione da André Gide: 

Perché non scrivere altro da un racconto continuo, ma una specie di… come un mazzo di fiori, un  fascio di spighe che non tenga conto del tempo e del luogo e raccolga nei diversi capitoli le sensazioni, le emozioni, le riflessioni dell’aviatore…?


La disfatta francese del 1940 è in Pilote de Guerre
, uscito in Inglese e Francese nel ’42, l’anno dopo in Francia e subito vietato da Vichy. Alla dichiarazione di guerra al Reich, Saint-Exupéry, mobilitato in una squadriglia, vola in missioni di ricognizione fotografica. L’aggressione tedesca non è meno violenta di quella del 1914. Parigi è caduta davanti alla grösser Mercedes Benz di Adolf Hitler ma prepara la riscossa.

La grandezza della mia civiltà è questa: se cento minatori devono rischiare la vita per salvarne uno solo rimasto sepolto, essi salvano l’Uomo.

All’armistizio, si auto esilia  negli Stati Uniti e lì, nel 1943, scriverà, illustrerà, pubblicherà e (ri)conoscerà le stanze segrete della sua anima, le parole mai perdute di quel miracolo che può essere vivere: Le Petit Prince.
Dettagli: uscito postumo in Francia, tradotto in tutte le lingue del mondo, venduto in centinaia di milioni di copie, amato più dei Miserabili, della Comédie Humaine, di Germinal, di Cyrano, della Recherche. Un capolavoro.
Osservazione: perché estrarne aforismi decontestualizzati come se Saint-Exupéry fosse un improbabile Osho?
Sempre del ’43, la lettera all’amico ebreo Léon Wert rimasto in Francia, perseguitato e impossibilitato ad andarsene, nel destino di centinaia di migliaia di donne e uomini, prigionieri dell’ideologia dell’odio. Senza l’amicizia di Tonio, Léon non sarebbe un viaggiatore ma un profugo. Lettera a un ostaggio, venti pagine in sei soffi di commozione. L’essentiel est de vivre pour le retour.

E c’è lei. Si sono sposati nel 1931. Poi e prima sono avverbi. È la Consuelo della mia eternità, l’amore sbalordito, torrido, invincibile, tradito anche ma che, se non sa vivere, non sa morire. Le centosessanta lettere intercorse tra Antoine e Consuelo Sandoval tra il 1930 e il 1944, tra i luoghi del mondo dove vivevano separati la ricca pittrice e scultrice del Salvador, divorziata e vedova e Antoine, circumnavigano da un continente all’altro l’orbita dissimulata del Piccolo Principe. Consuelo è la rosa solitaria, è la volpe, è il serpente, è il mistero femminino, è la traccia divina. Lettere che sono il libro inconsapevole scritto insieme, redatto molti anni più tardi, Il principe e la rosa. Lettere d’amore, l’ex post di tutto, transito terreno compreso, nella terza declinazione del tempo, segnata anch’essa dal cronometro Angelus.

J’aurai l’air d’être mort et ce ne sera pas vrai…