Duemilatrentaquattro pagine di carta pregiata, due segnalibro in seta gialla. Rilegatura in pelle pieno fiore, precisa l’editore Gallimard, filetti in oro 23 carati, nei tipi della Bibliothèque de la Pléiade, cofanetto di cartone lucido bianco. Choix de lettres de Céline et de quelques correspondants. (1907-1961) e un piccolo sbozzo di Gen Paul, l’amico pittore e musicista che viveva in una chiatta ormeggiata sulla Senna. Avrebbe visto l’autore del Voyage, morto, la sera del primo giorno di un torrido luglio 1961, nella casa di Meudon, accompagnato in auto dallo scrittore Marcel Aymé. Non si parlavano da anni, lui e Céline, ma gli amici con la “A” maiuscola si ritrovano sempre.
Del grande refusé di Francia, ora non si butta via nulla. Pochi mesi fa, come revenants, sono state ritrovate un po’di pagine manoscritte di un possibile romanzo, rubate con altri documenti da un double-face, un contabile che teneva in ordine (!?) i conti di Céline. Scriveva a mano, a caratteri grandi, Céline: duecento fogli di pugno sono si e no trenta pagine in corpo dodici. La Resistenza cercava la pistola fumante per metterlo al muro e non la trovò.
La premessa si chiude qui, con la doverosa e forse ovvia addenda di una constatazione: Céline era misantropo, ipocondriaco, omofobo, teorizzatore di ogni genere di complotto a suo danno, anticomunista e altrettanto compulsivo emissario di lettere, firmate a seconda dei rapporti con il destinatario: L.F. Destouches, L.F. Céline, Céline. Sapeva mantenere le distanze anche dal carcere, la Prigione dell’Ovest, periferia di Copenaghen, dove era stato rinchiuso nel 1945- uscì quattordici mesi dopo, in condizioni critiche- senz’altro mea culpa del libriccino scritto dopo il viaggio in Unione Sovietica, che gli aveva aperto gli occhi sul paradiso del socialismo di cui, chi non c’era stato, diceva meraviglie, come se fosse cambiato in meglio da quando Gogol, Dostoevskij e Puskin avevano raccontato l’infernale apparato zarista.
Era all’angolo, Louis Ferdinand, e reagiva attaccando. Sartre, ribattezzato tartre, tartaro, lo accusò di aver scritto i tre pamphlet antisemiti per soldi. Lo definì tenia uscita dalla mia merda…
Irridente, corrivo, lucido, fu accusato di tutto e del suo contrario. Oggi si dice gauche caviar, la Sinistra con puzza al naso e il caviale. La dittatura culturale del dopoguerra non faceva prigionieri; fatte salve le eccezioni, letteratura, cinema, teatro, arti figurative, concorsi per la cementificazione dei centri urbani, erano in mano alla gauche.
La lettera di cui dico ora, non ha data certa. Inedita, è stata scritta dalla capitale danese il 27 agosto, presumibilmente del 1948, al giornalista e scrittore francese Georges Altman (1901-1960), in risposta ad altra di cui non c’è traccia; idem per questa-da me acquistata in Francia- nel volume cui ho accennato in apertura, curato da Henry Godard e Jean-Paul Louis, autore, quest’ultimo, del saggio di Gallimard Cahiers de prison. Février-Octobre 1946.
Recto e verso di un foglio di infima qualità, stropicciato e rattoppato con nastro adesivo un tempo trasparente, comunque un documento. Céline non le manda a dire-mai lo ha fatto- ad Altman sull’onestà intellettuale degli intellettuali aggregati al carro dei vincitori, che lo volevano morto al di là della parafrasi. Altman non era tra questi: all’uscita del Voyage, Destra e Sinistra tiravano Bardamu per la giacchetta. Circumnavigando la parte oscura della Luna, Céline aveva aperto il fuoco antisemita che lo avrebbe portato, nella Parigi nazista, a frequentare alti ufficiali di Hitler e Altman, aperto estimatore del romanzo, prese le distanze. Una vita da militante, dalla vicinanza a Clarté all’assunzione all’Humanité, redattore dei Cahiers du Bolscevisme, aveva scritto nel gennaio 1937 sulla Lumière, l’ebdomadario di Georges Boris, un lungo pezzo sull’opera céliniana.
Bagatelle per un massacro fu, appunto, la condivisibile causa della rottura. Avrebbe passato le sue durante la Repubblica di Vichy: minacce, clandestinità, carcere. Era sempre stato coerente, Altman, ma la coerenza non bastava, a un Céline arrestato come un criminale, spossessato dei beni, passibile di condanna a morte.
“Copenaghen 27 agosto…
Tu quoque, Altman? Nonostante tutto sei troppo un gran signore per arrivare là dove sei… Fai parte della mia famiglia… Lascia ai mocciosi, infami e altre miserabili canaglie, le mascalzonate e gli abbietti lavori sporchi. Sai perfettamente di cosa si tratta, sai che non è mai esistito un solo romanzo comunista… in Russia, in Francia e ovunque. E voi fate culo e camicia con questa banda di pidocchi da calamaio! A che vi servono, loro? Pasticcioni, confusionari, onanisti? Non ce n’è uno solo che saprebbe scrivere un manifesto!
Ah Trotsky non s’era sbagliato e neanche Barbusse e neppure tu! Isteria? Che si rinneghi Flaubert! E cento altri! Allora, tra noi, non sorprenderti! Ti stringo la mano.
L.F.Céline”
A luglio 1947, Céline- “La nullità letteraria Céline”, cosi era stato definito, preso di mira ad alzo zero dall’agenzia sovietica Izvestia, aveva scritto alla testata Combat– il caporedattore era Albert Camus– ricordando che il Voyage “era stato lanciato da un articolo di Georges Altman, pubblicato dalla testata comunista Monde, di Henry Barbusse, nel 1934 […] Da allora, ho sempre intrattenuto con Altman relazioni più che cordiali.[…] Il Voyage è stato tradotto d’UFFICIO dai Soviet ( senza chiedermi cosa ne pensassi) e i traduttori altri non sono d’Elsa Triolet e di suo marito Aragon che non si sono per nulla preoccupati di sventrare il mio testo a vantaggio della loro propaganda. I Soviet mi devono da allora i diritti della traduzione. Prima di sgozzare la gente è bene pagare quanto le si deve. Sa l’Izvestia che, da criminale fascista tutti i miei romanzi sono stati proibiti in Germania dall’avvento di Hitler e per tutta la durata del Reich? E che il mio ultimo editore tedesco è Julius Kittel, Ebreo (maiuscolo, ndr) rifugiato a Marich-Ostrau-Moravia (1936)?”.
Camus scelse di non rispondere. L’Izvestia neppure.