Il romanziere veronese ha navigato negli oceani dell'immaginazione. Con lui generazioni di adolescenti. Eroi, nobildonnne, Oriente misterioso. Un mondo intero.
Si discute della nazionalità di Cristoforo Colombo, non eroe, non poeta ma navigatore; la rivendica anche la Polonia di Chopin, mezzo francese, e di Conrad, nato in quella che ora è Ucraina, con passaporto inglese. Una certezza l’abbiamo anche noi: il più grande navigatore dell’immaginario non è il genovese (?!) al soldo della Spagna che “scoprì l’America” ma il veneto Emilio Salgari.
Il romanzo è la vita, non il contrario. Quel piccolo uomo baffuto, che indossava una paglietta anche d’inverno per nascondere la calvizie era nato vicino all’acqua ma lontano dal mare. L’Adige e non il Mediterraneo, il Garda e non l’Oceano. Barconi carichi di sabbia e legname, verdura e sassi. Non giunche, non velieri.
Pare che percorresse le anse del fiume con un turbante in testa, inalberando una grossa piuma, scrivendo il romanzo di sé stesso.
Nato a Verona nel 1862, cresciuto in Valpolicella, aveva frequentato, senza conseguire il diploma, l’Istituto Nautico Paolo Sarpi: non capiva granché dell’uso del sestante o di come si calcolasse una “spezzata lossodromica” e che non primeggiasse né in trigonometria né in astronomia.
Poco importa; Salgari premise sempre a nome e cognome il “Cap”, per nulla antesignano dell’acronimo di “codice di avviamento postale” ma iniziale di “Capitano”. Emilio Salgari, veronese, giornalista del quotidiano L’Arena, dove aveva pubblicato a puntate il romanzo Le tigri della Malesia, il visionario che ha fatto sognare generazioni e generazioni di ragazzi imbarcandoli su vascelli pirata, accompagnandoli nella jungla impenetrabile, ha nutrito tra gli infiniti sogni quello di essere un uomo di mare.
Viaggiare, con lui, è facile. Basta seguirlo, pagina dopo pagina, iniziando proprio dal Mediterraneo, nell’Adriatico e nella laguna della Serenissima, Venezia, città natale di sua madre. Meglio se dimentichi di tutto quanto conosciamo o crediamo di conoscere oggi, “calandoci” nella meraviglia di un mondo che pareva non aver fine se non nel mistero e nella meraviglia.
Un porto, quello del primo imbarco che, forse, non è mai avvenuto. Diamogliela buona, crediamolo su un trabaccolo in navigazione da Venezia alla Dalmazia, e giù sino a Brindisi. E poi Napoli, meta ultima dell’esploratore Giacomo Bove. Sul Vega, nella scia del Nordenskjold sino ai ghiacci della Siberia alla ricerca del Passaggio a Nord Est che apre l’Atlantico nel Pacifico, in un abbraccio planetario. Bove è morto a Verona. Salgari ne scrive ne La Stella dell’Araucania.
Napoli. Ai piedi del Vesuvio è nata la Perla di Labuan, la bellissima amata da Sandokan, Tigre della Malesia, protagonista de Le tigri di Mompracem.
Un’altra donna di fascino straordinario, anch’essa partenopea, sangue blu e incarnato di Luna, è la contessa Eleonora d’Eboli. Mani da pianista capaci di brandire una spada, occhi profondi capaci d’incantare il più indurito uomo di mare e, al contempo, di prendere di mira nel vivo di volata della sua pistola, il nemico. Salgari la chiama “Capitan Tempesta”. E d’altronde, Tempesta è femmina, come lo è, in francese, il mare, la mer.
Bussola a nord, ecco il Mar Ligure di Santa Margherita, Rapallo, Paraggi, Sestri Levante. A Genova Salgari conosce Antonio Donath, l’editore che intuirà le sue doti di intrattenitore letterario. Liguri sono alcuni tra i suoi più immaginifici illustratori, come il Gamba e il Della Valle.
In quella che ora è terra di Francia spunta come un fittone la leggenda del conte Emilio (come l’autore!) di Roccabruna, signore di Ventimiglia e Valpenta, in arte il Corsaro Nero. Dove lo sguardo incontra il faro del Tino, dove Lerici si adagia davanti al suo castello, nel golfo di poeti scomparsi tra i flutti, ritroviamo i protagonisti de I naviganti della Meloria.
Salgari viveva di consultazioni, annotando faldoni di appunti, ipnotizzato da portolani, carte nautiche, mappamondi. La Tunisia è lo scenario di Cartagine in fiamme, il vortice quieto del Nilo che si abbandona al Mediterraneo è perfetto per Le figlie dei Faraoni.
Cipro, baricentro del mare Nostrum, assiste alle imprese della già citata Capitan Tempesta. Ma il mondo è piccolo per il piccolo grande uomo che, chiusi i suoi giorni a Torino con un “harakiri” nel 1911, è stato traslato nel Famedio del Cimitero Monumentale di Verona. Una linea di sangue sfortunata: il padre di Emilio si suicida nel 1889, la moglie Ida Peruzzi, muore folle. I figli Romero e Omar si tolgono la vita nel 1931 e nel 1963.
All’orizzonte appare Ceylan (lo Sri Lanka) e si delineano le torri e si materializzano i profumi di Jafnapatam, dove ogni seduzione successiva irretisce la precedente, tra templi dedicati a Buddha, palazzi di marmo, giardini pensili.
Chi sarà il Landucci che sforna libri su libri se non Salgari? È lui l’autore del Mare delle perle, ambientato a Manaar, dove Salgari ritornerà con La perla sanguinosa.
L’Oriente lo stordisce. Volumi che parlano del Borneo lo catapultano nell’arcipelago indo-malese. Non solo Sandokan, non solo l’amico Janez con l’eterna sigaretta tra le labbra ma la natura stessa a gioca il ruolo di prima donna, nella sua meravigliosa ferocia. L’agguato è onnipresente, nell’arancio del manto di una tigre, nella livrea di un serpente, nel lapislazzulo di occhi che appaiono appena, nascosti da un velo.
Salgari precorre i tempi anticipando fatti di oggi, descrivendo atti e nefandezze di pirateria che spesso campeggiano sule pagine dei quotidiani. Il mare e i bassi fondali, gli anfratti, i ridossi, le profondità animate da squali e mostri marini, impreziositi da perle e da rosse sertularie.
Salgari “divora” testi scientifici: botanica, ornitologia, meteorologia, entomologia animano le sue fantasie inducendolo a infinite precisazioni, talora improprie, quasi a testimoniare quel io c’ero che tutti gli perdoneranno proprio per la sua invincibile generosità letteraria.
Il Vietnam (Tay-See), le Filippine (Le stragi delle Filippine), il Giappone (L’eroina di Port Arthur), l’isola di Timor (I naufragatori (sic!) dell’Oregon).
Meglio del navigatore francese Bernard Moitisser, Salgari approda alle Figi (Un dramma nell’Oceano Pacifico) e in Australia (Il continente misterioso), in Papuasia (I pescatori di Trepang) e in Nuova Caledonia (Il tesoro della montagna azzurra).
Il mare è scenario mobile di imprese e misfatti. Nelle acque del Borneo, l’incidente in cui la carretta del mare Wangenep sperona lo steamer Oregon che fa servizio postale tra Manila e Batavia, è tutt’altro che casuale: si tratta di un atto di pirateria perpetrato da un malvagio olandese senza scrupoli. Così, Un dramma sull’Oceano Pacifico vede il mercantile Nuova Giorgia dirigere verso l’Australia, inconscio di quali peripezie dovrà affrontare per raggiungere la meta.
Ancora una nobile, La capitana del Yucatan, ancora l’anelito alla libertà. Dolores del Castillo, messicana, forza il blocco navale americano e consegna armi alle truppe spagnole prese d’assedio a Cuba. Il suo yacht da crociera si trasforma in una nave da guerra che incrocia nelle acque solcate, molti anni più tardi, da Hemingway a pesca di Blue Marlin.
E che dire del comandante dell’incrociatore Pilcomayo che naviga nella foce del Rio della Plata, sullo sfondo del conflitto tra il Paraguay e gli alleati Uruguay, Argentina e Brasile, mentre trasporta una cassetta ricolma di diamanti da consegnare al presidente paraguayano Solano Lopez? Come non pensare al Polluce, misteriosamente affondato all’Isola d’Elba con un carico di preziosi inviato a sostegno dei risorgimentisti, speronato e affondato in pochi minuti?
In mare può accadere di tutto. Sul ponte della Tuonante ne La crociera della Tuonante, nel mezzo di una tempesta si affrontano i pochi marinai superstiti e un serraglio di animali feroci, tra cui lupi, coguari e orsi. La fantasia di Salgari scansa il rischio della credibilità mantenendosi a rispettosa distanza dalle meraviglie letterarie del francese Jules Verne ma non è esente dalla “coscienza del tempo” che fa di un intrattenitore un testimone, pur nella infedeltà di cronaca che privilegia la fedeltà letteraria. È il caso del capitano Alvarez, al comando della Guadiana tra il Camerun e il Gabon, zona in cui vengono catturati gli schiavi. Non aspettiamoci la descrizione conradiana del Tifone ma l’efficacia della scrittura del veronese nella successione di bonaccia e uragano, nello sfascio della nave e della lotta mortale tra marinai e schiavi è notevole.
Salgari si mantiene su buoni livelli anche ne La Stella Polare e il suo viaggio avventuroso in cui coabitano senza sgomitarsi informazione e narrativa. L’alibi sta nella cronaca: il 25 aprile 1900, una spedizione guidata da Umberto Cagni, sbarcata dalla nave Stella Polare, comandata dal Duca degli Abruzzi, aveva infisso il tricolore a una latitudine mai raggiunta prima. Salgari, che circa le navi più che conoscere immaginava, descrive la Stella Polare come dotata di alberatura altissima, ignorando che i comandanti di vascelli attrezzati per imprese simili, riducevano la velatura anziché ampliarla, ben conoscendo l’intensità dei venti che sconquassano quelle lande desolate. Ridurre una vela satura di acqua gelata e annodare un matafione non è come aggiungere un capitolo a un paragrafo. Ma tant’è.
Salgari è stato, nell’accezione migliore del termine, il più fecondo “navigatore” da scrivania che la letteratura annoveri. Un divulgatore inconscio ma efficace, che ha messo a disposizione di uno sconfinato pubblico di lettori di ogni età, estrazione sociale, erudizione e cultura, un intero vocabolario marinaro e scientifico che, nei fatti, ha arricchito il linguaggio comune rendendo credibile ogni avventura, anche la più sbalorditiva, riscrivendo, “ de facto” i termini comuni dell’immaginazione e della fantasia. La popolarità dei suoi romanzi ha pochi confronti anche oltre confine. Non è un caso che numerosi siamo i “falsi” spacciati per suoi. Chi scrive, anni fa, intervistò il prof. Renzo Chiarelli, già sovrintendente a Firenze negli anni Sessanta, storico dell’arte di livello mondiale, che gli rivelò di essere l’autore de La figlia del Corsaro Verde, commissionatogli a pochi giorni dall’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, dal figlio Nadir Salgari, a corto di soldi. “Ero un sottotenente che attendeva la chiamata-precisò Chiarelli- e Salgari lo conoscevo come le mie tasche. Mi bastò lasciar correre la fantasia riallacciando questo a quell’elemento presenti nei suoi romanzi. Ci cascarono tutti. Il mio fu l’omaggio di un lettore entusiasta, non un tentativo di imitazione di un autore inimitabile”.