Boileau-Narcejac, la perfezione del doppio

Adelphi ha pubblicato Le Lupe. Il leit motiv di un romanzo che è un nodo alla gola

Giocare con il numero “2” è ingannevolmente facile: il doppio di “1” è, appunto, il “2”, da Ganimede riflesso nello stagno a mister Edward Hyde che osserva nello specchio l’anima nera del dottor Henry Jekyll, sul sentiero del doublage che non è solo doppiaggio di voci, ma sguardi, travisamenti, stati d’animo e dintorni. L’unicità ha la sua ombra che la precede o la segue, se la luce è alle spalle o le è davanti. 
La doppia vita. Così, tanto per ricordarne qualcuno.
Mattia Pascal e Adriano Meis, Dorian Gray e il suo ritratto, il William Wilson di Poe, il Visconte dimezzato di Calvino, i Gemelli Veneziani di Goldoni.
Cosa sarebbero stati i duellanti Feraud e d’Hubert di Conrad, l’uno senza l’altro?

L’alibi per scriverne un po’ è, anche, la recente uscita da Adelphi de Le Lupe di Boileau-Narcejac, formidabile macchina narrativa francese autrice di una quarantina di romanzi che sarebbe limitativo definire noir, gialli o polizieschi: molte tra le migliori pagine del dopoguerra, ambientate nei tempi e nei luoghi di un’apparente normalità borghese del crimine, sono loro.

Nomen omen? Cominciamo.
Pierre Boileau (1906-1989) è anche il poeta Nicolas Boileau (1636-1711).
Narcejac (1908-1998) è il nome di un paesino vicino alla Rochelle; da ragazzo, pescava nella Charente tra le frazioni di St. Thomas e Narcejac; all’anagrafe era Pierre Ayraud.

Il primo scritto a quattro mani, L’ombre et la Proie, apparso nel 1951 sulla Revue des Deux Mondes è firmato Alain Bouccarèje, anagramma un po’ sghembo dei due cognomi.
Autopercezione, etero percezione, conscio e subconscio, storie di storie, bianco e nero, detto e non detto -tutt’altro del “taciuto”-, apparenza sembianza e simbolo: gira la manovella dell’organetto, in una storia inverosimilmente vera.
Seconda guerra mondiale, due commilitoni francesi, Bernard e Gervais, prigionieri dei tedeschi, riescono a fuggire dalla tradotta. Bernard, il generoso, è in corrispondenza epistolare con Hélène, madrina di guerra, nubile benestante di Lione, sorellastra maggiore- si scoprirà- di Agnès. Parole scritte e la stropicciata fotografia di lei che non ne ha alcuna di Bernard: lo osserva nei lineamenti dell’immaginario.
Gervais è malevolo, ipercritico dell’amico imprenditore, potenzialmente ricco dell’eredità di uno zio. Bernard parla troppo, si muove troppo, è il suo non gradito difensore. Sono fortunosamente saliti sul vagone di un treno merci diretto- quando il destino vuole non dimentica il fato!- proprio a Lione. 
Bernard muore in un incidente sui binari, Gervais si impossessa del portafogli con i documenti, la foto di Hélène e una vita da reinventare. Gervais è morto, Bernard è vivo, l’alternativa è il simbolico buio che satura la città e buie sono le prospettive di non tornare oltre la linea grigia di un’esistenza stentata. Lo attende una donna nubile, ricca, con il valore aggiunto di un romanticismo inesperto. Pianista, dà lezioni nel grande appartamento in cui le stanze scure sono più di quelle in cui entra il Sole.
Bernard-Gervais sa che nulla è più difficile dell’assunzione di un’identità altrui fatta di anni e aneddoti, dove memoria e menzogna non possono non convivere, l’una necessitata dell’altra. Una sfumatura può sbugiardare castelli di finzione. Da sopravvissuto due volte (!), nel pathos del dubbio se restare o sparire, di come convivere con Hélène e Agnès…
La rivelazione della trama si ferma qui, a scanso di delitti letterari.
Riuscirà, e se “si”  “come?”, il sedicente Bernard a convivere con le due sorellastre, terzo cateto del triangolo e quarto lato del quadrato, allo sparigliante arrivo di Julie, la sorella del vero Bernard?
La verità è ineluttabile e inesorabile. Gervais è braccato nel luogo chiuso dove cinque sensi vorticano come falene attorno alla lampadina; il sesto senso  delle sorelle è il passe par tout che aprirà l’ultima porta chiusa. Chapeau! Tutto, di Boileau e Narcejac, è imperfettibile.

Ancora. D’entre les morts– La donna che visse due volte pubblicato da Boileau e Narcejac nel 1954,  un anno prima di questo  Le Lupe, da cui Alfred Hitchcock girò nel 1958 l’omonimo film con James Stewart, Kim Novak e Barbara Bel Geddes. 

Narcejac, Hitchcock e Boileau

Il doppio: Madeleine Elster assume la personalità di una nonna suicida e finge di uccidersi anch’essa. Torna a essere la provinciale  Judy Barton dopo che l’omicidio della vera Madeleine Elster, moglie del suo amante Gavin, è compiuto. James Stewart è l’avvocato ed ex poliziotto Scottie Ferguson che si è dimesso dopo la morte di un agente di cui si sente responsabile perché sofferente di acrofobia. Per questo, l’ex compagno di college, Gavin, ha chiesto il suo intervento come discreta guardia del corpo dell’amante nel ruolo della moglie, che sarà assassinata e scaraventata da un campanile. Ferguson è il doppio di sé stesso, prima e dopo le dimissioni dalla polizia, è un’altra volta il doppio di sé stesso quando si innamora della finta Madeleine, lo è una terza volta dopo aver scoperto il crimine.
Madeleine-Judy è il doppio di sé stessa quando si innamora di Scottie e accetta di trasformarsi nel clone della donna assassinata. L’ultimo doppio, lo gioca  la morte: Judy morirà cadendo dal campanile da cui era stato gettato il cadavere della vera Madeleine Elser.

James Stewart e Kim Novak ne La donna che visse due volte

D’entre les Morts ha il suo doppio in Bruges la morta, edito da Fazi, dell’avvocato e giornalista belga Georges Rodenbach (1855-1898), pubblicato a feuilleton dal Figaro nel 1892. Un best seller fin de siècle. Siamo sempre nel mito di Euridice: una donna amata e morta, un vedovo che non trova requie, una danzatrice identica alla defunta. Delitto compreso: come James Stewart-Scottie, l’uomo cerca di trasformare la ragazza nel monozigote della moglie ma la strangola con la treccia di capelli della de cuius, conservata come una reliquia sotto una teca di vetro.

Il romanzo ha il suo doppio nell’omonimo film del centenario (!) regista statunitense Ronald Chase (1978), premiato al Rotterdam Film Festival.

Rodenbach ha il suo doppio in pietra e bronzo al Père Lachaise: il monumento funebre, realizzato dalla scultrice Charlotte Besnard-Dubray  nel 1902 è il fermo immagine della sua uscita dalla tomba per la vita nell’eternità dell’arte. L’idea iniziale era un busto sopra una lapide. Da verticale in orizzontale, con l’aggiunta di un braccio proteso a infrangere la pietra tombale.

Chi ha detto che uno più uno fa due?

La tomba di Rodenbach al Père Lachaise